martedì 17 dicembre 2019

FORMALBA: Consegnati gli Attestati Professionali alle detenute di Rebibbia


Un attestato che consegna fiducia e speranza a chi ha sbagliato
LA FORZA DI RICOMINCIARE
Le detenute di Rebibbia terminano il percorso formativo con Formalba e Aless Don Milani



ROMA, DICEMBRE. Terminano tra baci e abbracci i corsi di formazione professionale di Formalba e Aless Don Milani destinati alle detenute del carcere femminile di Rebibbia. “Una bellissima esperienza, sia dal punto di vista formativo che umano” è il commento della Prof.ssa Manuela Romeo, progettista dei corsi che sintetizza il successo di un percorso didattico unico nel suo genere per tipologia di allievi e luogo di svolgimento. La cerimonia di consegna degli attestati, riconosciuti dalla Regione Lazio, si svolge in un clima di eccezionale normalità, come avvenuto in altre centinaia di casi nel corso della vita pluridecennale dell’ente di formazione più importante della provincia di Roma. Gesti che si ripetono, allievi che vengono chiamati a ritirare il “pezzo di carta”, strette di mano, complimenti, qualche abbraccio, qualcuno che ringrazia in modo esitante, qualcun altro in modo più spigliato, discorsi ufficiali, rinfresco a fine cerimonia. Tutto sembrerebbe decisamente ordinario, se non fosse per l’eccezionalità del luogo e del contesto dove si è svolto l’atto conclusivo dei corsi di Aiuto Cuoco e Assistente Familiare, che hanno qualificato questo gruppo di insolite studentesse. Insolite perché non capita tutti i giorni, per docenti e organizzatori, di venire a contatto con il mondo della reclusione. Soprattutto, per chi non è mai venuto a contatto con questa particolarissima realtà, è difficile abbinare ragionamenti e considerazioni a persone concrete. Talvolta ci sembra di parlare di un altro mondo, di qualcosa che, fortunatamente, non ci tocca personalmente e che ricade nel mondo dell’astratto e dei luoghi comuni. E invece, questa esperienza ci consente di conoscere volti, voci e storie di chi vive, per un periodo della sua esistenza, al di là del portone blindato, delle mura e dei fili spinati. Un mondo diverso, senza telefonini e contatti diretti con l’esterno. Un mondo fatto da donne che pagano il loro debito con la comunità civile, della quale hanno infranto regole e provocato danni e dolori a cose e persone. Ma anche di persone con le loro sofferenze, le loro fragilità e le loro speranze di ricostruirsi una vita “normale” una volta varcato verso l’esterno il portone blindato di Via Bartolo Longo. Una umanità variegata, con tante storie da raccontare o da dimenticare, come quella della studentessa universitaria che ritrova tra i docenti del corso proprio la sua professoressa. “Quanto ti ho dato all’esame?” - scherza la prof. “Trenta” – sorride la ragazza. “Allora ti aspetto per la laurea!” Una lacrima e un abbraccio forte, di quelli veri, di quelli che ti fanno sperare che questa sia davvero una parentesi da dimenticare in fretta. C’è la zingara che ringrazia tutti con un fiume di parole e che bisogna zittire se non si vuole fare notte. C’è la ragazzina sudamericana che dice di voler tornare a casa sua, con negli occhi la delusione di chi sperava di trovare l’eldorado da questa parte dell’oceano. Ma quello che emerge con forza è il legame che si è creato tra chi ha frequentato il corso e chi lo ha proposto e realizzato. Quasi tutte donne, che hanno saputo e voluto realizzare una cosa bella. Perché, nel paese di Cesare Beccaria, accanto a concetti condivisibili come certezza della pena, occorrerebbe affiancare anche concetti come certezza del reinserimento o, quantomeno, messa a disposizione di strumenti per ricominciare. Perché se è giusto che la società abbia il diritto sacrosanto di giudicare e punire, ha anche il dovere di rieducare chi ha sbagliato e, una volta pagato il suo debito, essere reinserito nella comunità civile. Le parole che si rincorrono in questi casi sono quasi banali da ricordare: opportunità, riconoscenza, condivisione, ringraziamento, speranze, auguri. Parole normali, che diventano straordinarie in un mondo dove la normalità è straordinaria.

Marco Giustinelli
Ufficio Stampa Formalba

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